APPROFONDIMENTI

Sport, attività motoria e malattia di Parkinson

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E’ ormai certo che lo svolgimento di esercizio fisico, invece, ha un’azione protettiva e riduce il rischio di malattia di Parkinson.

Partirei dalle definizioni che spesso creano confusione. L’attività sportiva consiste nella pratica di una disciplina agonistica o non con lo scopo di migliorare una performance ludico- motoria, non ha nulla a che vedere con l’attività motoria di tipo preventivo e adattato, competenza del laureato in scienze motorie specializzato e che si svolge in ambiente non sanitario. Il bello del mio lavoro è proprio questo. Aiuto i malati di Parkinson e coinvolgo anche i famigliari, a gestire la malattia ed i vari sintomi attraverso il movimento specifico, adattato, in combinazione con il trattamento farmacologico. L’attività motoria della quale mi occupo è il risultato di 27 anni di lavoro, 20 dei quali con soggetti con disturbi del movimento.

La pratica di regolare esercizio fisico e la ridotta possibilità di malattia di Parkinson emerge da molti studi epidemiologici ed è stata chiarita, dal punto di vista dei meccanismi neurobiologici sottostanti, dall’analisi dei modelli sperimentali. In particolare, è stato provato come, forzando gli animali di laboratorio a regimi di attività fisica sostenuta, questi possano manifestare una resistenza maggiore agli insulti tossici per le cellule dopaminergiche della Sostanza Nera, oppure possano sviluppare una trasmissione dopaminergica più efficace e robusta, in grado di compensare il deficit di dopamina proprio della malattia di Parkinson. D’altra parte, l’esercizio fisico regolare incide anche sul sistema cardiovascolare, promuovendo una migliore circolazione cerebrale e riducendo il contributo peggiorativo dei fattori di rischio cardiovascolari (es. diabete, ipertensione, dislipidemia) sull’esordio e la progressione clinico-patologica della malattia di Parkinson; agisce inoltre a livello sistemico, attenuando delle componenti di infiammazione o stress ossidativo (ovvero, i principali determinanti dell’invecchiamento); influenza, infine, alcuni assi neuropsicoendocrini che trasformano la sensazione di benessere liberata dalla pratica sportiva in segnali molecolari di neuroprotezione.

Molto recentemente, alcuni ricercatori hanno finalmente dimostrato come, anche nell’uomo, l’esercizio fisico regolare possa migliorare i disturbi clinici della malattia di Parkinson e, addirittura, temperare l’evoluzione neuropatologica della malattia. In particolare, nello studio “Park-in-Shape”, condotto da colleghi olandesi, è stato osservato che le persone con malattia di Parkinson moderata, che praticavano per un periodo di 6 mesi, 30-45 minuti di esercizio fisico aerobico (pedalata) per 3 volte a settimana, sviluppavano nel tempo un aumento più contenuto dei disturbi motori rispetto ad un gruppo di controllo sottoposto a soli esercizi di stretching e rilassamento, nel quale, invece, il peggioramento era più marcato. Tale beneficio era supportato da una serie di adattamenti cerebrali allo sport, come alcune indagini di neuroimaging avanzato hanno permesso di stabilire. Infatti, nel gruppo più allenato, le connessioni neuronali a livello dei circuiti sensori-motori, il trofismo e la vitalità del cervello in toto, e la trasmissione in alcune reti deputate a funzioni cognitive erano complessivamente migliori, confermando definitivamente come l’esercizio fisico aerobico, svolto con assiduità e continuità, induca dei cambiamenti morfo-funzionali nel cervello, utili a contrastare la progressione della malattia ed il peso dei disturbi annessi.
In generale, è noto che la pratica di regolare esercizio fisico, ha un buon impatto su molti aspetti della vita della persona con malattia di Parkinson, che includono la sfera emotiva o delle funzioni psichiche, limando anche il rischio di declino cognitivo nel tempo, mediante l’attivazione di processi cellulari inibenti la formazione delle placche di beta-amiloide, che rappresentano il substrato neuropatologico della demenza.

Lo sport può certamente contribuire al benessere globale della persona con malattia di Parkinson. Durante l’emergenza pandemica, infatti, molte persone con malattia di Parkinson hanno sperimentato strategie di resilienza, praticando attività sportiva in modo ludico o assistito dalle tecnologie o piattaforme web, sopperendo alle chiusure di palestre e centri riabilitativi e opponendosi a un inevitabile peggioramento che ha, invece, interessato molti di coloro rimasti fermi.

 

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